C'è un filo che unisce i martiri di Plaza de Mayo e i resistenti gay di mezzo mondo? Che cosa lega il Sudafrica di Nelson Mandela al Massachusetts di quel Mitt Romney che punta alla Casa Bianca? E davvero Barack Obama ha tutto da imparare dall'ex premier portoghese José Socrates? Preparate i cancelletti: tutto quello che avete pensato finora di sapere sui matrimoni gay è falso. O quantomeno discutibile.
Non è vero che il fatidico "omosì" è un traguardo delle nazioni riconosciute più socialmente all'avanguardia. Anzi. La geopolitica dei matrimoni gay riparte da Lisbona. Il primo editorialista dichiaratamente omosessuale del New York Times - Frank Bruni - è andato fin lì a scoprire perché mai questo piccolo Paese sul precipizio (anche economico) dell'Europa è riuscito a centrare un obiettivo finora sfuggito a un colosso come gli Usa. Dove Barack Obama scherza con i suoi sostenitori gay ("Ho incontrato la vostra leader: Lady Gaga!") ma non s'è ancora espresso a favore dei matrimoni. Lasciando così il Paese a scegliere in ordine sparso: dal Massachusetts in cui ci si sposa per sentenza della Corte suprema (e per la rabbia dell'ex governatore mormone Romney) fino a New York che questo mese celebra i primi cento giorni dal "Gay SI".
Ma perché il Portogallo? Lisbona è l'ultima capitale ad aver passato l'anno scorso una legge. E per di più è un Paese cattolico. Che immagineresti distante anni luce da quella Olanda che ha eletto a principio di Stato la tolleranza: dalle vetrine ormai turistiche ai coffe-eshop di marijuana. E che per prima al mondo istituì dieci anni fa le nozze gay. Da allora solo nove sono gli Stati in cui il matrimonio gay è stato ammesso. Ma qui vengono le altre sorprese.
Perché un quartetto è costituto da quei Paesi che come l'Olanda godono di una tradizione di tolleranza: Norvegia, Svezia, Islanda e Canada. Ma gli altri? Sudafrica, Spagna, Portogallo e Argentina. La spiegazione l'abbozza l'esperto Evan Wolfson di "Freedom for Marry". "Si tratta di Paesi dove la democrazia e il rispetto per la legge sono stati negati per anni. E dove la società civile ha fortemente lottato per riconquistarli". Dall'Argentina della dittatura di Videla alla Spagna del dopo Franco. Dal Sudafrica dell'apartheid al Portogallo liberato della Rivoluzione dei Garofani. Ma non solo. E' l'ex premier portoghese Socrates a riconoscerlo: "La scelta della Spagna è stata molto importante per noi". La primavera (ormai appassita) di Zapatero avrebbe fatto da volano per il vicino di penisola: ma anche per l'America Latina che continua a guardare con amore e rivalità alla madrepatria. E non è un caso che il prossimo Paese sulla lista del riconoscimento è ancora di marca spagnola: l'Uruguay.
L'ipotesi che incrocia Paesi usciti dalla dittatura e diritti gay è accattivante. Ma c'è chi ne solleverebbe i limiti. Una giurista gay e controcorrente è per esempio Katherine M. Franke. La professoressa insegna alla Columbia e in "The Politics of Same Sex Marriage" politics aveva già evidenziato alcuni rischi. Altro che conquista civile. Inchinandosi all'istituzione borghese del matrimonio non solo gli omosessuali venderebbero l'anima al diavolo del conformismo: sancirebbero l'ennesima ineguaglianza sociale. Cioè il riconoscimento dei diritti solo previo contratto: ti rispetto come gay - ma se ti sposi.
E pensare che le unioni che oggi dividono, affondano le radici nei secoli. Alan Tullchin è un professore dell'Università di Pennsylvania, che ha rinvenuto nella Francia di seicento anni fa quei contratti di "affraternamento" (con tanto di promessa di dividere "un pain, un vin et une bourse") che servivano a tramandare la proprietà in caso di morte del compagno. Per tacere dei Pirati della Tortuga: che si sposavano tra loro per permettere ai marinai - "matelot" - di dividersi i tesori. A proposito. Proprio da "matelot" viene quel "mate" che in inglese designa il partner sessuale. Maschio o femmina: o tutt'e due.
Fonte: Angelo Aquaro, La Repubblica - Lunedì 10 Ottobre 2011
QUI l'articolo originale
10 ottobre 2011
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