12 settembre 2012

IN CINA I GAY NON POSSONO ENTRARE NEL DIZIONARIO

Gli omosessuali cinesi sono al centro di una disputa linguistica che ha poco di accademico e molto di politico. La sesta edizione dell'autorevolissimo Dizionario della Lingua Cinese Contemporanea (69mila voci, 13mila caratteri) ha preferito ignorare i gay pur di non chiamarli con il termine corrente di "tongzhi". Il perché lo si è scoperto grazie a un servizio della BBC: in una lingua estremamente complessa come il cinese le parole hanno spesso più di un significato, e il primo significato di "tongzhi" è "compagno". Sì, esattamente come si chiamano tra loro i membri e i dirigenti del Partito Comunista di Pechino e di tutti gli altri partiti comunisti del mondo. Non potevamo rischiare una confusione che sarebbe risultata molto imbarazzante, ha spiegato il linguista Jiang Lansheng, uno degli autori del dizionario. Lo possiamo capire. Anche perché i primi a utilizzare il termine in questione per indicare gli omosessuali furono gli abitanti di Taiwan e quelli di Hong Kong quand'era ancora una colonia britannica. In quei tempi antichi la confusione con "compagno" era dunque voluta, e tendeva a screditare gli odiati comunisti al potere a Pechino. Eppure, anche le autorità e i compilatori di dizionari cinesi dovrebbero capire: che i tempi sono cambiati, e che i gay cinesi hanno ragione quando denunciano la loro inesistenza nel dizionario perché così vuole la ragion di partito.

Franco Venturini - Io Donna 08 settembre 2012

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