Che succede? E' semplice. L'associazione conta 228 mila 563 iscritti e, di questi, circa il 90 per cento sono tesserati dei cosiddetti "circoli ricreativi", vale a dire locali, bar, discoteche, ecc. Luoghi di ritrovo per soli tesserati che, al momento dei conteggi ai fini congressuali, però, esprimono per regolamento solo il 10 per cento dei delegati. Il tutto secondo uno strano principio e cioè quello che il "peso" dei circoli cosiddetti "politici" è (e deve rimanere) superiore agli altri e determinare quindi la leadership e le scelte dell'associazione.
Discutibile sul piano delle libertà individuali (uno è libero di fare la tessera dove vuole, e che sarà mai) ma fin qui una ratio ci sarebbe anche. Il problema è che all'Arcigay non basta nemmeno così. Il meccanismo di attribuzione dei delegati, infatti, ha anche una seconda stortura. Non rispetta, cioè, la proporzione iscritti-delegati nemmeno fra i privilegiati circoli politici.
Basta fare un paio di esempi. Prendiamo Messina e Barletta. Messina conta 1.967 iscritti ed esprimerà due delegati. Barletta-Trani-Andria ne conta 48 in tutto ed esprimeranno sempre due delegati. Vale a dire che al congresso ogni mano alzata di Messina rappresenterà circa mille iscritti, ogni mano della nuova pronvicia pugliese della BAT appena 24.
Idem per i grandi centri. Milano con 26.676 iscritti porta al congresso 14 delegati, solo tre in più di Padova che di iscritti ne conta circa 10 mila, vale a dire molto meno della metà. Il meccanismo finisce, quindi, per favorire i piccoli centri rispetto ai grandi e per rendere del tutto marginale la rappresentanza dei soci non politici. Un sistema che favorisce, dunque, anche i circoli di recente costituzione che, pur con pochissimi iscritti, hanno un peso significativo fra i 262 delegati del congresso.
E così l'elenco ufficiale distribuito in queste ore dal presidente nazionale Paolo Patanè, che si ripresenterà alla guida dell'associazione, scatena più di qualche mal di pancia. Anche perché c'è chi si chiede se la federazione dell'Arci abbia avallato le regole dei fratellini gay, vista la necessità di meccanismi "democratici" per poter essere a tutti gli effetti un'associazione che riceve fondi pubblici.
Ma la domanda che andrebbe fatta è forse meno giuridica e più filosofica: può un'associazione che di fatto non afferma – con le sue regole interne - l'uguaglianza fra i suoi stessi soci battersi poi - all'esterno - per affermare l'uguaglianza dei cittadini?
Cerno, vai a chiedere ad Aurelio Mancuso e compagnia cantante che nel 2005/2007 trasformò Arcigay in un partitito istituendo i comitati provinciali e unificò le tessere per dire: siamo in 200mila.
RispondiEliminaPuò un'associazione che da decenni non ha ottenuto alcun risultato concreto in termini di diritti civili avere ancora credibilità presso una persona sana di mente?
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